DINO BUZZATI

L’EPISTOLARIO CON NERI POZZA

In occasione del centenario della nascita, dal 10 giugno al 30 ottobre del 2006,  si sono tenuti a Marostica i “lunedì buzzatiani” che hanno studiato tutti gli aspetti della multiforme e versatile produzione artistica e letteraria  di Dino Buzzati, uno dei più importanti scrittori del ‘900. Ne è nato un libro, curato dall’assessorato alla cultura e presentato dal sindaco Alcide  Bertazzo e dall’assessore Mariangela Cuman, “Dino Buzzati voce e figura del Novecento”. Buzzati, intellettuale sempre pronto a levare la maschera e a individuare le contraddizioni della società, vuole mostrare,  nei suoi scritti, in primis, “Il deserto dei tartari”, le profonde debolezze e l’eterno contrasto dell’animo umano, raccontati con una scrittura moderna, nitida e precisa, che non sbiadisce col passare del tempo. Nella sua produzione come giornalista, pittore e narratore troviamo significative descrizioni della città, spesso notturna, e delle montagne bellunesi, intorno a San Pellegrino, dove è nato il 16 ottobre 1906, ma anche tematiche che hanno segnato tutta la sua esistenza, come la quotidianità, l’amore, il mistero e l’aldilà. Importante la presenza nelle manifestazioni marosticensi di Maria Teresa Ferrari, una delle più note studiose dell’opera buzzatiana, curatrice  della mostra di 13 ex voto, forniti grazie alla preziosa disponibilità della signora Almerina Buzzati, sempre attenta e sensibile nel far conoscere e dipanare la complessa personalità del marito.  Un nuovo e interessante  contributo alla conoscenza dell’artista è stato dato, attraverso l’originale mostra allestita presso la biblioteca civica, dal carteggio Buzzati-Neri Pozza, che costituisce l’elemento più prezioso e originale del libro.  L’epistolario va dal 1950 al 1967 e racconta di un fitto dialogo fra i due che portò alla pubblicazione di tre opere dell’autore bellunese. Pozza aveva ritagliato i racconti pubblicati da Buzzati, già famoso per il “Deserto dei tartari” (1940), nel “Corriere Lombardo” e li aveva pubblicati nel 1950  sotto il titolo “In quel preciso monumento”, libro di successo che vinse il premio Foggia per la narrativa.  Buzzati, pur con molta titubanza e riluttanza, pubblicò con l’editore vicentino anche le sue poesie: “Il capitano Pic e altre poesie” (1965) e “Due poemetti” (1967). I racconti di “In quel preciso momento” andarono a ruba e vennero giudicati da Montale come  “pezzettini”, brani in forma di confessioni, stralci di diario “in cui le cadenze della prosa d’arte, talvolta, sono accostate a quelle telegrafiche tipiche di certo ambiente giornalistico, con suggestioni spesso sperimentali e d’avanguardia”.  Il leit motiv del libro sono i temi più profondi della poetica buzzatiana: il senso del passare inesorabile delle stagioni, il rimpianto del tempo perduto, l’attesa della “cara”  morte che sempre aspetta impaziente, il mistero della vita.  In “Due poemetti”, sono raccolti due componimenti già apparsi nel 1965: “Scusi, da che parte per Piazza del Duomo?”, come introduzione ad un volume di fotografie dedicate a Milano e “Tre colpi alla porta”: ovvero “Precaria situazione di mio fratello postino”  pubblicata nella rivista “Il caffè”. “Scusi, da che parte per Piazza del Duomo” è un’ottima testimonianza dei contradditori sentimenti che Buzzati prova per Milano, sempre tesi tra l’amore per uno spazio che rende “viva” ed eccitante l’esistenza e la paura per una struttura che allo stesso tempo la complica e la stralcia, quasi come in un inferno subdolo e terreno.

Neri Pozza pubblicherà in un volume unico “Il Capitano Pic” e “Due poemetti”, nella raccolta postuma del 1982 intitolata “Poesie”.   Nel carteggio lo scrittore, che chiama Pozza simpaticamente  “potente negriero”,  si preoccupa che il libro non trovasse il favore del pubblico, ma Neri lo rassicura: “non si preoccupi della vendibilità del volume, piuttosto che venga un bel volume, intendo necessario alla sua storia di scrittore”. I libri di poesie non fecero breccia sulla critica  e sul pubblico. Questo perché i lettori consideravano Buzzati solo scrittore in prosa e giornalista. In “Personaggi e interpreti” Pozza ironicamente e malinconicamente ne parla così: “Malgrado la fama e il nome dell’autore, i due librini non si vendettero. Così Dino e io finimmo per donarli ai nemici e agli amici. Forse pareva giusto al pubblico, dopo i successi ottenuti coi romanzi e i racconti, che l’autore non dovesse averli con le poesie…  Il giornalista doveva essere al  massimo romanziere; non commediografo, poeta, cronista della nera e perfino critico d’arte. Che senso hanno queste suddivisioni per il pubblico (e la critica), che operano con arbitrio, non si capisce. Per cui non c’è altro da aspettare che il tempo, vero galantuomo, renda giustizia a un artista, poeta in versi e in prosa, a dispetto di tutti”.

Nella relazione di Patrizia Dalla Rosa su “Buzzati scrittore” si dice che il nostro “per molti anni non ha ricevuto il giusto riconoscimento da parte della critica letteraria italiana e in numerose storie della letteratura del Novecento il suo nome compare citato solo tra gli “autori minori”, dove è ricordato quasi esclusivamente per il romanzo “Il deserto dei tartari”. Non stupisce. Estraneo al dibattito culturale e letterario del suo tempo, lontano dalle ideologie politiche e dalla dottrina dell’impegno, sensibile al mistero e all’atmosfera del fantastico, Buzzati è stato ritenuto scrittore isolato rispetto alle mode e alle correnti dell’epoca. Invece in altri paesi è stato immediatamente “un gigante” della letteratura, soprattutto in Francia, dove conserva un prestigio inalterato dal 1949, anno della traduzione in francese del suo romanzo più famoso.  E a proposito di traduzioni c’è da dire che pochi autori italiani vantano tante traduzioni in lingua straniera come Buzzati, estendendo i campi d’indagine non solo a tutta la narrativa, ma anche alla produzione giornalistica e pittorica e dimostrando particolare attenzione alle interrelazioni tra le varie attività. Sono infatti aumentati gli studi critici, i convegni e le tavole rotonde a lui dedicati. In questo senso il centenario della nascita non costituisce un culmine  di questi studi, ma rilancia l’interesse dell’autore.  All’inizio degli anni ’80 esistevano ancora pochi saggi, sporadici contributi accademici e numerose testimonianze rilasciate da amici  e da colleghi.  Questi scritti analizzavano la produzione narrativa di Buzzati considerando principalmente l’aspetto tematico e contenutistico, senza prestare particolare attenzione ai tratti stilistici o ai fonemi linguistici. Alla scrittura buzzatiana è stato subito applicato il cliché di lingua semplice, inserita in una sintassi elementare della prosa non lavorata, chiaro riflesso della prassi giornalistica. Gli studi più recenti hanno finalmente sciolto questo preconcetto, rivelando che la semplicità è solo apparente e nasconde, in realtà, una profonda carica allusiva e simbolica e che la funzione polisemica della parola riveste in Buzzati un ruolo fondamentale per la comprensione del testo. Il profilo che viene a delinearsi è quello di uno straordinario artista che racconta i grandi tempi della vicenda umana.

La tensione costante che ha dominato la sua opera trova corrispondenza in certi paesaggi che gli erano congeniali, come la  montagna e poi il deserto, entrambi luoghi privilegiati della sua geografia intima,  carichi di una fortissima valenza simbolica.

Dove tutto sembra arrestarsi, come in attesa di qualcosa, o pietrificarsi, come sfuggendo alla corrosione divoratrice del tempo, viene da sé, per chi ha orecchio sensibile a sottili scricchiolii, a impercettibili crolli, a lontane ombre o rumori, il porsi incessanti interrogativi. Il paesaggio della Val Belluna, soprattutto, per aver aperto il suo immaginario è luogo di elezione e di mistero. Perché mistero? Perché Buzzati, in tutta la sua vita e in tutta la sua opera non ha fatto altro, attraverso il senso del mistero, che porre interrogativi sul grande spettacolo chiamato reale. Buzzati ha scardinato il reale, ne ha aperto brecce, ne ha dubitato e in questo modo ha indicato un suo modo di vedere. L’artista bellunese ci parla costantemente della realtà, delle cose più vere della vita, e lo fa narrandoci fatti inverosimili. Di fronte all’inganno del tempo, di fronte alla poca solidità di ciò che abbiamo appreso a chiamare “reale”, l’inverosimiglianza di cui si serve Buzzati apre il lettore a una dimensione ulteriore che modifica e amplifica la rigida visione delle cose: è il linguaggio che partecipa all’interrogazione del reale…Il suo fantastico, che una volta era parso “fuga dal reale”,  viene ora riconosciuto più realistico della stessa realtà. E per questo la sua pagina avrà sempre un di più da raccontarci”.

 

                                                                                                Gianni Giolo

 

D. BUZZATI, Voce e figura del Novecento, Edizioni Comune di Marostica