GIOVANNI AZZOLIN

PIO X,  IL CARD. DE LAI E IL MODERNISMO VENETO

 

Il 4 agosto 1903 viene eletto papa Giuseppe Sarto che prende il nome di Pio X. Era nato a Riese nel 1835, provincia e diocesi di Treviso. Inizia il suo ministero a Tombolo e nel 1867 è parroco di Salzano, un paese che conta  meno di 2300 abitanti. Passa 17 anni a curare le anime, poi viene chiamato in Curia con le funzioni di cancelliere vescovile.  Nel 1884 viene consacrato vescovo  e destinato a Mantova.  Vi rimane 10 anni,  poi viene eletto patriarca di Venezia e cardinale nel 1893. Dieci anni dopo sale sul soglio pontificio e gli intellettuali cattolici, come Ernesto Buonaiuti, lo definiscono “un parrocchetto” sprovveduto nel governo degli affari della Chiesa e culturalmente inadeguato ad affrontare la crisi modernista,   in quanto formato e condizionato da un ambiente parrocchiale di sapere limitato e senza interessi e curiosità sui nuovi orientamenti e conquiste della teologia del suo tempo. Nelle Lettere di un prete modernista Buonaiuti scrive che “con l’avvento di Pio X l’antico parroco di campagna, nella sua imperizia facile preda dei raggiri gesuitici, ha manifestato fin da principio la volontà risoluta di calpestare ogni diritto del pensiero contemporaneo, di opprimere ogni  prete reo di volere il progresso della spiritualità del cattolicismo, di frapporre ogni ostacolo al libero movimento delle anime verso la luce”. Come scrive Giovanni Azzolin, in Gaetano De Lai “l’uomo forte di Pio X”,  a questi giudizi il  braccio destro di Pio X il cardinale De Lai, originario di Malo, in provincia di Vicenza,   segretario della Concistoriale e della Congregazione per i Seminari, risponde qualificando come “ribelli pretini romani” gli ecclesiastici favorevoli alle tesi moderniste. Fra questi fautori del rinnovamento della Chiesa c’è pure Antonio Fogazzaro, “un intellettuale cattolico culturalmente e religiosamente inquieto – osserva Azzolin -  ma non arrabbiato e irriverente”. Egli si pone come significativo esempio, per i cattolici moderati, nell’agire politico e culturale all’inizio del Novecento. Di Pio X egli scrive nel 1903 a Henry Bremond: “Pio X un buon curato, ma uno spirito chiuso a ogni modernità, un tradizionalista immobile sulle sue formule della fede, che non comprende né vuol comprendere l’importanza della critica storica né di qualsiasi altra critica”. Dopo l’elezione del nuovo papa, nel marzo-giugno 1905, il clero colto romano pubblica nove opuscoli che si propongono il fine di svecchiare la Chiesa e di ammodernarla soprattutto nella cultura cioè nelle scienze storiche, filologiche, critiche e di conseguenza ermeneutiche. Il nono, che porta il titolo  Riforme,  mostra grande fiducia nel fenomeno delle idee, mira al cambiamento della base scientifico-filosofica delle discipline dogmatiche nei seminari, invoca la critica biblica, lo studio storico, il senso spirituale della Chiesa, l’accettazione dei risultati delle discipline naturali e filosofiche. Sono le stesse richieste di Buonaiuti, della rivista Rinnovamento di Tommaso Gallarati Scotti, della Rivista di cultura di Romolo Murri, de Il Santo di Fogazzaro, degli studiosi quali il gesuita padre Georges Tyrrel, l’abate Louis-Marie Olivier Duchesne e primo fra tutti del sacerdote Alfred Loisy. Nel 1902  quest’ultimo pubblica un volumetto dalla copertina rossa L’Évangile et l’Église che per la storia della Chiesa ha la stessa importanza del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels per la storia dell’Ottocento. Le tesi di Loisy entusiasmano Buonaiuti,  che lo addita come modello al clero italiano,  e Fogazzaro che sta componendo Il Santo, dove parla di un’adunanza, non senza contrasti, di “cattolici riformatori”. L’enciclica di Pio X Pascendi dell’8 settembre 1907 condanna il pensiero di Loisy e di quanti, con l’azione e con gli scritti, mostrano di accettarlo e di diffonderlo.  IL Santo di Fogazzaro viene messo all’Indice dei libri proibiti il 5 aprile 1906. Ai durissimi giudizi contro il Fogazzaro della Civiltà Cattolica fanno eco l’Unità Cattolica, insieme con Il Berico e La Riscossa di Vicenza, secondo i quali il Fogazzaro si “è sempre preoccupato di criticare la religione cattolica e la politica ecclesiastica”, “si diletta a rappresentare i preti come gente rozza, ignorante, ghiottona, pettegola, malefica, insofferente” e “sta per l’amore platonico, l’erotismo acuto, morboso che è sparso in tutti i romanzi a larga dose”. Sedici giorni dopo la condanna de Il Santo  De Lai manda nella diocesi di Vicenza, divisa in “due acerbissimi partiti”, fra i cattolici liberali che fanno capo a Fogazzaro,  Lampertico e Rossi  e cattolici conservatori guidati dai fratelli Scotton,  uno dei visitatori più severi Ernesto Bresciani dei Redentoristi che, nella sua relazione,  critica tutti compreso il vescovo Farina e gli Scotton: i vecchi preti sono “irremovibili nei loro principi”, i  giovani, invece, “leggendo troppi libri e giornali di opinioni nuove, specie la Cultura Sociale, propendono per il modernismo”. Nella diocesi dominano gli Scotton: Gottardo e Andrea, arciprete di Breganze, piccolo paese del  Vicentino, definito dal Corriere della Sera del 24 febbraio 1911, “Il piccolo Vaticano”. Gli Scotton erano stati valenti predicatori nelle più grandi città d’Italia. Nel 1890, sollecitati da Leone XIII, avevano fondato il settimanale La Riscossa, un periodico tanto potente da poter mettere sotto processo vescovi e cardinali in odore di modernismo. Nel 1910 accusano il cardinal Ferrari di Milano di coltivare nel suo seminario un “semenzaio di modernismo”. De Lai, in una lettera a Ferrari,  ribadisce che nella diocesi ambrosiana ci sono persone “della tinta del Fogazzaro, tinta funesta che pretende di dirsi cattolica, ma è invece razionalista e modernista”. Nel 1913 La Riscossa  mette in bocca a De Lai l’accusa al vescovo  di Vicenza Rodolfi di  “episcopalismo”, una gravissima forma di modernismo,  per il fatto che “la Chiesa vicentina può far senza del Papa, perché ha il Papa nel suo vescovo”. Allarmato Rodolfi chiede spiegazioni al potentissimo cardinale che gli risponde dichiarandosi “disgustato del modo scorretto ed in parte falso e contraddittorio con cui furono raccolte le sue parole”. La difesa dell’integrità della fede si era trasformata in una caccia alle streghe e, come ha scritto Pietro Nonis, vescovo emerito di Vicenza, in una “specie di maccartismo che imperversò sotto l’etichetta di antimodernismo”.

Gianni Giolo

 

VICENZA “PLENA VENENO

LA VISITA APOSTOLICA AL SEMINARIO DI VICENZA E L’ACCUSA DI MODERNISMO A MONS. RODOLFI.

 

L’ultimo libro del prof. Giovanni Azzolin  è “Gaetano De Lai, l’uomo forte di Pio X”, edito dall’Accademia Olimpica, un’opera che è una vera miniera di informazioni sui rapporti fra Fogazzaro e i modernisti, dei quali il più acerrimo nemico e “persecutore” è il card. Vicentino nato a Malo De Lai, braccio destro di Pio X, Segretario della Concistoriale e della Congregazione per i Seminari, il ministero degli Interni dello stato pontificio. Soffermiamoci sul capitolo XIV in cui l’autore parla della visita apostolica del 1906 inviata da De Lai alla diocesi di Vicenza, retta dal vescovo mons. Antonio Ferruglio. Il cardinale vi manda uno dei visitatori più severi padre Ernesto Bresciani dei Redentoristi che fa alla Santa Sede una relazione non positiva. Bresciani ha parole di critica per tutti, compreso il vescovo. Costui, proveniente da Udine,  si era insediato a Vicenza nel 1893 e vi rimane fino al 1911. Coinvolto nello scandalo del fallimento della Banca Ratti e C. viene costretto dallo stesso Pio X a pagare in proprio una grossa somma di denaro di spettanza di sacerdoti e di enti ecclesiastici. In seguito a questo fatto, amareggiato, si ritira a vita privata nel 1910 e, dopo due mesi,  muore a Staranzano, vicino a  Gorizia. Nella diocesi vicentina si contrappongono “due acerbissimi partiti”, quello moderato del vescovo Farina e quello intransigente dei fratelli Scotton. Un clima pesante di reciproci sospetti domina nella Vicenza “plena veneno”, come la chiama Adriano Navarotto, nel suo libro “Ottocento vicentino”, aggravato dalla presenza di due giornali ultraconservatori come “Il Berico” e “La Riscossa”, che, animando le schiere dell’integralismo intransigente, rendono ancora più difficile la collaborazione con i cattolici moderati, rappresentati dallo scrittore Antonio Fogazzaro. Il papa stesso per por fine a “codesta baraonda”, come scrive mons. Giovanni Bressan a mons. Andrea Scotton, decide l’invio di un visitatore apostolico che arriva a Vicenza sedici giorni dopo la messa all’Indice del “Santo”  di Fogazzaro.  La relazione di Bresciani accusa il vescovo di vivere “troppo ritirato”, di “ammettere alle udienze pochi sacerdoti” e di non saper prendere delle decisioni. In particolare nei contrasti fra clero vecchio e giovane “sembra troppo prudente e irresoluto nel decidere”. I vecchi preti sono “irremovibili nei loro principi”, i  giovani, invece, “leggendo troppi libri e giornali di opinioni nuove, specie la “Cultura Sociale”, propendono per il modernismo”. Bresciani fa nomi e cognomi degli insegnanti sospettati: i professori Caldana, Veggian e Zarantonello e anche il direttore spirituale Tomasi. Ad essi si aggiungono Giuseppe Arena, Francesco Snichelotto, Giovanni Prosdocimi, tutti laureati e provenienti dall’area culturale di Toniolo, di Meda e di Murri. Erano quelli che i vecchi chiamavano con disprezzo i “novisti”. La relazione di Bresciani viene criticata dallo stesso Giovanni Mantese, così controllato e moderato nelle sue opinioni, che osserva: “il visitatore dà l’impressione di troppa sicurezza nei suoi giudizi sopra uomini e situazioni”. Bresciani con quella relazione sa di mettersi contro tutta la borghesia illuminata di Vicenza, guidata da Fogazzaro, Lampertico e Rossi, esponenti dei cattolici liberali, che erano appoggiati da mons. Bonomelli, vescovo di Cremona, a sua volta sostenuto dal card. Maffi di Pavia,   aperti  alle richieste della società e della cultura moderna. I giovani professori che leggevano la rivista di Romolo Murri “Cultura sociale” e avevano, quasi certamente, letto “Il  Santo” di Fogazzaro sono accusati di “propendere per il modernismo”, accusa allora gravissima, ma “corrispondente alla verità”- osserva  Azzolin – “come dimostra l’attività futura dei sacerdoti Caldana, Arena, Snichelotto e Quaresima, rimasti sempre stretti alla Chiesa, però disponibili al nuovo, all’utile, al mondo contadino e operaio”. Saranno essi – scrive Azzolin - il nucleo di forza nel rinnovamento della diocesi col vescovo Ferdinando Rodolfi. Letta la relazione Bresciani il papa scrive a De Lai: “Alle decisioni prese dalla Sacra Congregazione sarebbe da aggiungere la raccomandazione che venissero licenziati dal seminario i professori don Caldana e don Quaresima, l’uno e l’altro abbastanza pronunciati modernisti”.

Ma l’accusa più grave che De Lai lancia contro la diocesi di Vicenza è quella del 1913 in cui il potentissimo cardinale taccia di eresia modernista e cioè di “episcopalismo” (la peggiore delle forme del modernismo) il vescovo di Vicenza mons. Ferdinando Rodolfi. In una visita a Roma della diocesi vicentina capitanata da Rodolfi De Lai dice ai vicentini che la chiesa è unica mentre a Vicenza esistono due Chiese quella romana e quella vicentina e che la “Chiesa vicentina può fare senza il Papa perché ha il Papa nel suo Vescovo”. “IL vescovo Rodolfi – commenta Azzolin – tornò da Roma assai preoccupato. La caccia al modernista non era ancora terminata e una accusa come quella di episcopalismo avrebbe potuto avere gravi conseguenze”. Allora scrive a De Lai il 16 settembre 1913, il quale risponde dichiarandosi “disgustato del modo scorretto ed in parte false” cui sui le sue parole erano stato riportate dalla Riscossa dei fratelli Scotton di Breganze. “In questo modo – continua Azzolin – il cardinale sembra voglia liquidare la montatura di eresia da parte di Gottardo Scotton, dando una mano al vescovo di Vicenza, che aveva tutt’altro per la testa che mettersi in concorrenza con il papa”. Ma mons. Rodolfi non si mette il cuore in pace e scrive a Padre Domenico Maria Pasqualigo, commissario generale dell’Sant’Ufficio, chiedendogli se nel suo comportamento si può ravvisare “un moto scismatico ed eretico tendente a staccare i fedeli da Roma e ad esaltare il Vescovo in antitesi alla Suprema autorità del Vicario di Gesù Cristo”. Pasqualigo gli risponde il 22 gennaio 1914 che  “a voce si possono dire molte cose che la prudenza vieta di mettere in iscritto, specialmente quando uno si trova in posizione delicata”. Alla fine si congratula con il Vescovo che “tutto è finito per sempre”.

Il card. De Lai  muore in una clinica romana il 24 ottobre 1928 e viene sepolto  al Verano. La Civiltà Cattolica il 27 ottobre dà notizia della sua morte senza alcun apprezzamento della sua opera come Segretario del Concilio e della Concistoriale. Il 15 marzo 1929 la salma del cardinale viene portata a Malo e sepolta – secondo sua espressa volontà – nella chiesa di Santa Maria Liberatrice.

 

Gianni Giolo

G. AZZOLIN, Gaetano De Lai, l’uomo forte di Pio X, Accademia Olimpica,

 

 

 

 

GIOVANNI AZZOLIN, Gaetano Delai, l’uomo forte di Pio X, Accademia Olimpica