Gianni Giolo
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ANDREA PALLADIO

L’UOMO E L’ARCHITETTO  IN UN LIBRO DI LIGIA ROBERTO E ISABELLA OTTOBRE

 Nella  chiesa San Vidal, in campo Santo Stefano, a Venezia è stato presentato il libro di Ligi Roberto e Isabella Ottobre, “Palladio Venezia e l’Istria”. Presentatori ufficiali il pluricandidato al Premio Nobel per la letteratura Boris Pahor (scrittore di lingua slovena di Trieste, dissidente del regime comunista iugoslavo, autore di “Città nel golfo”, “Necropoli”, romanzo autobiografico sulla sua prigionia a Natzweiler-Struthof nel 1944, “Il rogo nel prato”, “La Villa sul lago”, “Il petalo giallo” e altri libri), Ciro Perugini, Marisa Kacin e Adriano Ciccotosto,  autore di un felicissimo saggio, scritto  con la moglie Isabella Ottobre,  “Il vino piacere e cultura” (Corbo e Fiore editore). Liginia Roberto (Ligia per gli amici) è autrice di molti saggi come “Istria. Ricordi, storia sentimenti per una terra mai dimenticata”, “Foci del saliso. Venezia, Istria, Dalmazia”, “Riverberi istriani”. Cromatismi e profumi della mia terra”, “Richiami del cuore”. Isabella Ottobre laureata in lettere con una tesi in Storia dell’Arte si è dedicata a saggi e a pubblicazioni di carattere artistico, in particolare sugli affreschi rinascimentali, partecipando a incontri e conferenze anche su temi di carattere filologico e classico. Nel libro scritto nel 500centesimo della nascita di Palladio le autrici hanno voluto ripercorrere la vita dell’artista sotto un profilo diverso, più umano. Il libro si divide in due parti: la prima è dedicata alla visita di Andrea Palladio in Istria dove Ligi Roberto è nata, “quasi Palladio – suggerisce l’autrice – avesse trovato nel paesaggio e nell’anima dell’Istria la semplicità, il rigore, la bellezza che andava cercando”. In questa pagine il lettore può scoprire accanto all’artista, anche l’uomo con le sue debolezze e le sue virtù. Nella seconda parte, più didattica, scritta dalla storica dell’arte Isabella Ottobre, si approfondiscono le più importanti realizzazioni dell’artista padovano. Il risultato è un testo originale, scritto a quattro mani, dove si intrecciano storia e storie più o meno credibili del Palladio, di Venezia, dell’Istria nel grande affresco del Cinquecento.

“Con grande capacità affabulatrice – scrive nella Prefazione Marina Silvestri – con un linguaggio diretto e fluido, sebbene impreziosito da termini ricchi di suggestioni ed echi, echi lontani come gli episodi narrati, Ligi Roberto dà un’originalissima lettura della vicenda umana di Andrea Palladio. In un modo intrigante che rapisce il lettore, perché le storie si succedono alle storie come una fiaba orientale o un gioco gotico di specchi che evocano le ombre. Ligi, tratteggia la figura di Palladio, il suo essere uomo schivo che visse in modo sobrio, modesto, che non conobbe la ricchezza, “negato per la vivace vita salottiera dove spesso, con l’intervento civettuolo delle nobildonne, venivano distribuiti prestigiosi incarichi di lavoro”; un uomo di genio, amico di Daniele Barbaro, conoscitore dei trattati di Vitruvio, sempre alla ricerca di una religiosità autentica da trasmettere attraverso la semplicità delle forme, che provò il cruccio di vedersi trafugare progetti non firmati, e spesso vide travisato il rigore delle linee architettoniche pensate, con decorazioni cariche di amplificazioni di forzature illusionistiche della misura spaziale predisposta, con macchie di colore spumeggianti, tracimanti, incipriate, mentre il suo obiettivo era, come lasciò scritto, “un’architettura aperta, continua, il cui soffitto è il cielo”. E dolori più laceranti ebbe dalle vicende familiari. Un’esistenza travagliata alle quale l’autrice, nel condurci per mano in questa acuta rivisitazione, accenna con garbo e leggerezza, filtrata dal suo personale senso dell’esistenza, volto al bello dell’anima e del pensiero, come sa chi ha avuto modo di leggere i suoi libri precedenti di racconti e di fiabe.

Nell’affresco d’epoca che ne scaturisce incontriamo i nomi di Pietro Aretino, Giangiorgio Trissino, il Ruzzante, il Veronese, il Mantenga, Tiziano accanto alle mollezze e la crudeltà di Solimano il magnifico contornato di giannizzeri e odalische, a Veronica Franco poetessa e onorata cortigiana; sulle pagine rivivono i fasti del carnevale, la miseria dei marrani, il sangue di Lepanto che arrossò il Mediterraneo, il mal francese, la peste, la tratta degli schiavi.

L’humus su cui fiorì la civiltà delle ville, della villa tempio, un tempio di ordine e di armonia che appagasse le aspirazioni alla tranquillità alla ricchezza e alla cultura del patriziato e della borghesia, in un contesto di rivolgimenti e scontri di civiltà diverse, dove dal nord soffiava il vento della Riforma, mentre l’Italia attraverso il Rinascimento riscopriva la grandezza di Roma e del pensiero greco e latino.

Ligi Roberto rammenta del Palladio l’amarezza per la decadenza dei costumi, l’ignoranza della storia passata, l’arte antica “che ci sta davanti così vilmente incompresa, così umiliata, oltraggiata” ed anche “l’atteggiamento contrario al pantano delle guerre, all’emarginazione sociale e, conseguentemente, ad ogni manifestazione razzista che possa degenerare in forma di incompatibilità etnica”.

 La parte più interessante e inusuale del testo  la troviamo nelle pagine dedicate alla visita di Andrea Palladio in Istria, dove la realtà viene trasfigurata in pagine di grande forza evocatrice. Pola, Il Quieto e il Dragonia, Montona, Pinguente, Albona, Pirano, Parenzo, Capodistria, Cittanova, dove Ligi Roberto è nata. Ligi immagina lo sguardo di Palladio posarsi sulle pietre di una piccola chiesa, uguale ad altre realmente esistenti con una “modesta torre campanaria priva di bronzi” e la chiama Chiesa della Misericordia fortificata. Un nome che sembra una metafora dell’amata terra natale.

All’interno “nell’abside del piccolo altare, ben visibile, la tenera visione di una madonna dai tratti rustici che allatta il bambino a seno scoperto”. Il grande architetto è rapito dalla visione del mare che “è lontano ma si sente il riverbero salmastro portato dalla bora”. Guarda “la vite di malvasia piegata dai colpi di bora, il vento matto che nasce dal Valebit e muore a Trieste”, mentre “uno stormo di uccelli plana su un campo arato”. Pensa: “Colori tanto forti da togliere il respiro, non li ho mai visti”. I profumi stordiscono. Fragranza pastorale contadina. Un sogno di intima religiosità”. Quasi Palladio – intende suggerire Ligi guidata da percezioni che travalicano le considerazioni di critici e storici dell’arte – avesse trovato nel paesaggio e nell’anima dell’Istria la semplicità, la sobrietà, il rigore, la bellezza che andava cercando. Come se il nitore della pietra da lui scelta per edificare chiese e ville fosse lo specchio di anime temprate dalla storia. Da cui una rispondenza segreta, spiritualmente funzionale alle opere ideate.

Pennellate leggere cono quelle che Ligi Roberto adopera per acquerellare i suoi personaggi, ma a volte il tratto diventa deciso e dà corpo ad affermazioni di vibrante tempra morale. Perché questo testo non è una  biografia romanzata, bensì un percorso interiore personale dell’autrice che lega e fonde momenti “esemplari”, episodi, aneddoti, riflessioni che possono educare ciascuno di noi a coltivare quei sentimenti e convincimenti di persone attente ai valori dell’uomo”.

La seconda parte  del libro è dedicata da Isabella Ottobre a “Palladio, la sua umanità e il suo tempo”. Così la presenta Adriano Ciccotosto: “Palladio uomo è certamente meno conosciuto di Palladio architetto, soprattutto perché la sua indole, semplice e riservata, ha fatto sì che nel tempo scomparisse, quasi, di fronte alla grandezza dell’artista. E poi il suo andare in cerca di prove e di emozioni alla scoperta delle tracce di quell’arte antica, che tanto lo appassionava, lo ha portato in autentici luoghi della memoria fra Veneto e Istria, in quel di Pola, dove i monumenti dell’arte romana suscitarono in lui ammirazione e desiderio d’ispirazione”. Il racconto di Isabella Ottobre è “un piacevole tuffo nella storia e nei quotidiani avvenimenti, che fecero del figlio di un umile mugnaio, e avviato al mestiere, non certo prestigioso ed esaltante, di scalpellino un celebre architetto senza scalfire minimamente quella base di semplicità e di autentica umanità, portate alla luce nel giusto e doveroso rilievo”.

Lo studio delle ville palladiane di Isabella Ottobre si condensa in questo splendido passo: “Sembra che queste ville si adagino nella campagna creando un “continuum” tra architettura e paesaggio. Con queste opere architettoniche Palladio riuscì progressivamente a raggiungere un elevato grado di perfezione e di purezza di linee, realizzando effetti scenici attraverso il gioco dei chiaroscuri prodotti dalla geniale composizione degli elementi architettonici facendo sì che l’armonia compositiva diventasse un tutt’uno col paesaggio e addirittura si fondesse con esso”

 

Gianni Giolo

L. ROBERTO, I. OTTOBRE, Palladio Venezia e l’Istria, Piazza Editore, euro 15.00

 

 

Gianni Giolo