Gianni Giolo
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BENITO GRAMOLA.

“IL BUCO NERO NEL PASSATO DI GIULIO BEDESCHI”

Benito Gramola è l’autore del libro “La 25° brigata nera “A. Capanni” e il suo comandante Giulio Bedeschi” che per primo ha parlato del “buco nero” del passato di brigatista di Giulio Bedeschi, il celeberrimo autore di “Centomila gavette di ghiaccio”. Noi abbiamo recensito il libro (La Domenica di Vicenza, 18 febbraio 2006) in un articolo dal titolo “Prima della Centomila Gavette”: il lato oscuro della personalità di Giulio Bedeschi e la verità sul massacro della brigata nera Capanni”. Il libro di Gramola e il nostro articolo hanno destato le preoccupazioni dei parenti del Bedeschi che, per bocca del famoso musicologo Bepi De Marzi,  ci mandano a dire di temere che venga infangata la memoria del grande scrittore. Siamo ritornati così dallo  stesso Gramola per approfondire l’argomento. Prima però abbiamo parlato con Fernando Bandini, presidente dell’Accademia Olimpica, il quale ci ha detto che il passato fascista di Giulio Bedeschi è ben noto e perciò non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione limitandosi a  sottolineare la differenza fra il destino  di Bedeschi e quello dell’altro grande scrittore vicentino Mario Rigoni Stern.

Prof. Gramola si parla dei diversi destini dei due scrittori come Giulio Bedeschi e Mario Rigoni Stern anch’egli volontario fascista nella  campagna di Russia.

Mario Rigoni Stern ha una carriera fascista completamente diversa da Giulio Bedeschi. Mario Rigoni Stern è stato volontario fascista nella campagna di Russia e ha mandato alcune lettere nella sua parrocchia esaltando il fascismo e la sua difesa della religione contro il comunismo. Pierantonio Gios, nel suo libro “Fascismo, guerra e Resistenza sull’Altopiano” (1995), ne ha pubblicato alcune. Leggiamo un passo di una lettera del maggio 1942: “Non vi è stata una guerra più giusta di questa contro la Russia sovietica: sì, questa guerra che facciamo è come una santa crociata e sono contento di parteciparvi, anzi fortunato”. L’esperienza fascista di Mario Rigoni Stern dura però poco, perché il giovane volontario entra subito in crisi (come  molti altri giovani fascisti volontari). Nel settembre 1943 Mario Rigoni Stern si  rifiuta di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e viene internato nei lager più crudeli della Germania nazista. Al contrario Giulio Bedeschi  non si è mai pentito del suo passato fascista  e non ha mai scritto una riga sulla sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana. Bedeschi quindi non ha mai fatto i conti con il suo passato fascista. Questo è quello che io chiamo il buco nero della sua carriera, un buco nero che lui non ha mai svelato né chiarito. Bedeschi è nato ad Arzignano il 31 maggio 1915, primo di quattro fratelli da Edoardo direttore didattico e da Elisabetta Belli. Sulla sua casa natale ad Arzignano c’era una targa (targa ora provvisoriamente tolta per lavori di ristrutturazione), dettata dal famoso compositore Bepi De Marzi che è stata scoperta nel gennaio 1999 tra discorsi ufficiali e grande partecipazione. Girolamo Mezzalira parla di Giulio Bedeschi scolaro: la 1° classe elementare a 6 anni, la 5° conclusa con una buona pagella, il ginnasio al collegio don Bosco di Verona, il liceo al Pigafetta di Vicenza, tre anni di medicina a Padova e poi il passaggio a Bologna, dove si laurea nel 1939 sempre con ottimo profitto. Fu poi ufficiale medico in Albania (divisione Casale), in Jugoslavia (13° batteria Gruppo Conegliano), in Russia (divisione Julia) sovente decorato.

Lei, nel suo libro, scrive che “nessuna biografia accenna al periodo 1943-45 e agli anni successivi: un lungo ingiustificato buco nero”.

Il buco nero è duplice: il primo nel periodo 1943-45, anni della Resistenza,  sul quale periodo sappiamo qualcosa. Il secondo periodo va dal 1945 al 1949. Tutta la sua famiglia è depennata dall’anagrafe di Forlì e la troviamo a Ragusa in Sicilia nel giugno del 1949 (Bedeschi non si sentiva sicuro nell’Italia del nord). Poi scompare. Ha subito un processo, come gli altri brigatisti neri? Non lo abbiamo trovato. Quanto è rimasto in Sicilia? Dove è vissuto dopo? Chi lo ha protetto? Come si è salvato dal massacro della sua brigata nera “Capanni”? A lui preferisco Giorgio Albertazzi che si vanta del suo passato fascista e dice di averlo fatto per un ideale. Bedeschi non ha mai parlato del suo passato fascista, mentre la sua brigata è stata massacrata ed ha pagato duramente, come io spiego nel mio libro. Bedeschi scrive invece degli alpini. Mi sarebbe piaciuto che fosse rimasto a Thiene con la sua brigata, che l’avesse difesa e ne avesse parlato nelle sue opere successive. Ho trovato in un documento dell’estate del 1945, scritto da esponenti del CLN vicentino, che ho riassunto perché conteneva pesantissime frasi nei riguardi di Giulio e di suo fratello Giuseppe. Tutto questo perché mi sono riproposto di fare un lavoro storico e oggettivo.

Che fine hanno fatto i brigatisti della Capanni che non sono stati massacrati?

Molti sono fuggiti a Milano e altri a Bolzano. Di Giulio Bedeschi sappiamo solo che giovedì 26 aprile 1945 era Vicenza.

Perché, secondo Lei, Bedeschi accettò di comandare la brigata nera Capanni?

Le brigate nere furono costituite nell’estate del 1944. Furono una quarantina, una per ogni capoluogo di provincia delle regioni del nord Italia e della Toscana. Ognuna portava il nome di un caduto per la causa fascista repubblicana. Erano costituite dagli iscritti al Partito fascista repubblicano: formavano dunque il partito armato della RSI, parte integrante della sue Forze Armate. I suoi membri, dai 18 ai 60 anni, si presentavano come gli eredi, i figli degli squadristi degli anni venti, e anche, secondo la propaganda fascista, come i veri “patrioti”: forse per questo i “garibaldini” preferirono da subito farsi chiamare “partigiani”, per non essere confusi con questi “patrioti”. Lazzero, nel suo libro “Le brigate nere” (1983),  non mostra stima di queste formazioni sul piano dell’efficienza militare. I volontari che accolsero l’appello di Pavolini furono ragazzi ben più giovani di 18 anni (perfino 13) e uomini ben oltre i 60 (perfino vecchietti di 70). Erano detti volontari ma avevano stipendio e alloggio sicuri. Bedeschi nell’aprile del 1944 fu nominato federale di Forlì in qualità di segretario del partito fascista repubblicano. Automaticamente divenne comandante della brigata nera Capanni con uno stipendio molto alto. Un soldato percepiva 300 lire al mese, mentre un brigatista 1500. Pavolini, che era il comandante di tutte le brigate nere,  ne percepiva 15.000. Lo stipendio di Bedeschi, secondo me, si aggirava fra le 8 e le 10.000 lire al mese, compreso  divisa, vitto, alloggio, auto e autista. Si continui a parlare pure per questi brigatisti neri di desiderio di avventura, di senso dell’onore e di altre motivazioni ideali e morali, ma senza dimenticare il forte incentivo costituito dall’aspetto finanziario, per cui se il vecchio padre che aderiva alle brigate nere si portava anche il giovane figlio senza obblighi militari ne veniva fuori un ottimo affare, almeno sul piano economico.

 

a cura di Gianni Giolo

B. GRAMOLA, La 25° brigata nera “A. Capanni” e il suo comandante Giulio Bedeschi, Cierre Edizioni


 

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