Gianni Giolo
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ANISA BABA BRESSAN

LA VICENZA DEGLI ANNI TRENTA

 

La decana delle poetesse vicentine Anisa Baba Bressan, ex docente di tecniche dell’informazione in un istituto superiore della città, che si occupa di cultura veneta e della condizioni femminile, autrice di “Riflessi” (1987), “Parole in versi” (1991), “Sul filo del tempo” (2001), “Vece parole” (2007) negli ultimi anni si è data alla prosa, una prosa talvolta lirica affidata alla memoria e ai ricordi, talvolta assiepata di piccoli episodi di vita quotidiana. Ha pubblicato “Onyricon (2007) e “Amarcord” (2007). Del primo ha scritto Antonio Capuzzo: “sono racconti di sogni, racconti brevi, testi fulminanti, ricchi di ellissi e allusioni, intriganti alternanze di narrazione del segno come evento spontaneo e inarrestabile e di interpretazione”. In questi racconti l’autrice  ha trovato il necessario completamento del suo esistere e in definitiva il raggiungimento di un vecchio sogno. E per Baba, - come osserva lei stessa – “giunta ormai al capolinea di una vita intensa, spesso pesante, ma ricca di amore, di lavoro interessante, di molte soddisfazioni”, i sogni sono non solo rielaborazioni del passato, ma anche misteriose percezioni del presente e quindi speranze per il futuro. Protagonisti di questi racconti sono i sentimenti, le illusioni, le speranze, l’incedere irrisolto e ridente della giovinezza, come nel primo racconto, dove la scrittrice si rivede “leggera, giovane,  bella e desiderata” che accetta un passaggio in macchina da uno sconosciuto che si definisce “il diavolo”. C’è un brivido di follia in questi racconti che scorrono freschi e spaesati in una cornice festosa di spensieratezza audace e reticente nello stesso tempo nella quale “i sogni notturni – come confessa l’autrice – sono rivolti a rivangare cose passate o ad esprimere sensazioni del nostro presente e i sogni ad occhi aperti rappresentano in fondo la speranza che deve sempre trovare uno spazio dentro al nostro cuore”. Più soggettivo e sognante il primo, più oggettivo e realistico il secondo che rievoca piccoli personaggi della Vicenza degli anni Trenta. Ed ecco Orestina, la lavandaia che ogni lunedì arrivava “col careto e la sestina” e le cui mani rosse e gonfie si fermarono un giorno “sul lavelo,  tacà la rosta granda del Retron”, Gino, “l’omo de fadiga”, aiutante tuttofare che fu sostituito nel suo lavoro da un furgoncino d’occasione e che, con l’orologio della liquidazione, stava per ore in stazione ferroviaria a controllare l’orario dei treni, finché “morì presto e nessuno se ne accorse”, Celeste, un omino soprannominato “el caramei” perché ai ragazzi vendeva “caramei, boni e bei, a venti schei”, mentre d’estate si trasformava in un elegante gelataio con il carrettino a forma di gondola, la Quieta, una femminetta dal camminare saltellante che puntualmente tutte le mattine alle cinque saliva a Monte Berico perché a quell’ora “la Madonna non la ga nessun in coste”. Uno degli episodi più poetici e suggestivi è la descrizione del giorno della prima comunione: “non facemmo la prima Comunione in divisa, nell’anno del trionfo fascista, mia sorella ed io, per merito della signora Direttrice, che aveva zittito la maestre fanatiche (che le volevano vestite da piccole italiane). Avemmo il nostro bel vestito bianco, lungo, la coroncina di fiori e il velo, e la nostra foto rimase per anni nella vetrina del premiato studio fotografico artistico Ferrini. La chiesa delle Grazie era tutta fiorita di bianco, il maestro Arnaldi suonava con impeto l’organo, i parenti piangevano di commozione per i loro angioletti che, terrorizzati dalla prima confessione, continuavano a recitare mentalmente “O Gesù d’amore acceso…”.

Il racconto più arioso e leggero, più aperto alla viva luce vicentina della giovinezza allegra e spensierata, è “Pattini e rotelle”, pieno di “ricordo” e di nostalgie, tramato di memorie aeree e trasognate: “E correvamo, in quel lunghissimo ombroso viale, sui nostri amatissimi attrezzi, con la felicità nel cuore, contenti di avere venti centesimi per un gelatino, o per una gazzosa da dividere in due, contenti di sedere, verso sera, sulle panchine del viale amico a chiacchierare di scuola o di progetti; e la guerra, già in atto, non ci guardava. Nella luce dorata, che filtrava tra le foglie dei platani, le mamme e le domestiche riportavano a casa i più piccoli; i soldati, impacciati nelle loro divise troppo pesanti, sciamavano in libera uscita, mentre imbruniva dolcemente  nel grande parco cittadino, senza personaggi strani o equivoci, senza siringhe per terra, senza paure. E subito non ci furono più alberi ombrosi, per noi cresciuti d’un colpo, troppo in fretta. E molti di noi non ebbero neppure la fortuna di crescere”.

 

                                                                                                Gianni Giolo

 

ANISA BABA BRESSAN, Onyricon, Amarcord vicentino, Editrice Veneta, euro 11.00

Gianni Giolo