Gianni Giolo
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TERENZIO SARTORE

IL SUO UMANESIMO E LA SUA FEDE NELLA CIVILTA’ CONTADINA

 

L’Accademia Olimpica ha dedicato un volume a Terenzio Sartore per ricordare la sua molteplice attività di studioso e di amante della civiltà contadina cui ha dedicato i volumi “Civiltà rurale di una valle  veneta. La Val Leogra” e  “La sapienza dei nostri padri. Vocabolario tecnico-storico del dialetto del territorio vicentino”, editi dalla Accademia Olimpica.  “Lo studio della civiltà contadina – scrive Fernando Bandini, nella prefazione – della sua lingua e dei suoi riti tramontati, costituisce un interesse primario negli studi di Sartore. Ma il volume attuale, che accoglie una vasta antologia dei suoi scritti, testimonia l’ampio ventaglio degli  argomenti che contraddistinguono la sua attività di studioso e di scrittore. Sartore nasce come storico medievale, come dimostrano il suo articolo più remoto su Gian Cristoforo da Arzignano (1999); poi quelli su un discorso circa l’autorità papale rivolto da Francesco Zabarella a Bonifacio IX (1966) e su una miscellanea poetica umanistica in un codice della Biblioteca Universitaria di Padova (1970). Potrebbe far pensare a una segreta aspirazione di Sartore a una carriera accademica che non abbia avuto modo di realizzarsi. Ma sono le date dei tre articoli a smentire l’ipotesi. Essi dimostrano il costante interesse di Sartore per la storia medievale e proto-umanistica, un interesse che dura negli anni. E il 1970, anno in cui pubblica la sua descrizione del codice umanistico padovano, è anche l’anno di un  suo intervento in cui auspica iniziative per la salvaguardia della natura alpina. Intervento che si collega vent’anni dopo, con intatto sdegno e pari denuncia a quello su “La montagna lapidata” (1990).

D’altra parte anche la serie di articoli sulle tradizioni popolari e contadine rivela la stessa intensa devozione al passato che anima i suoi studi filologici. Uso la parola devozione perché non si tratta mai in Sartore di un ricostruzione puramente erudita. Il passato, il rito scomparso, è visto come una rappresentazione dell’umano che Sartore rivisita con intensa nostalgia; e se quell’aspetto dell’umano risulta irrimediabilmente perduto e irrecuperabile, trapela  dalla sua pagina come un tacito ammonimento a risarcire con nuovi valori quello che non c’è più. Nei titoli dei suoi articoli appare spesso la marca temporale del quando a definire la remotezza, le cose sono spesso cose di  una volta. Gli interventi sul folk-lore di Sartore sono indagini sul campo in cerca di quanto ancora sopravvive e insieme Storia. Avvisi di una coscienza segnata da un’inquieta modernità, che si pone domande sull’oggi e sul nostro futuro; e lo fa alla luce di un passato che non è lontano, è alle nostre spalle visto che le generazioni più anziane lo ricordano come un proprio ieri, eppure sembra retrocesso all’improvviso a distanze stellari.  Si collega anche a questa intima tensione della coscienza quella che fu l’intensa religiosità di Sartore. La fede di Sartore non si basava su puntelli teologico-intellettualistici. Assume talvolta in questi scritti i colori della devotio popolare, convinto come Sartore appare che è soltanto il sale cristiano a rendere viva e ricca di risonanze l’esistenza umana. E’ in questa sezione che più si rivela l’animus del nostro rimpianto accademico, con scritture spesso visitate dal soffio della poesia”.

Nella sezione “Fede e umanità” abbiamo trovato una pagina di grande umanità, di profonda fede e di intensa poesia. Si intitola “Pensieri al lume di candela”: “Questa sera, una scura sera di dicembre, c’è vento, un vento che sbatte le foglie secche contro la casa, che agita le alte piante che ci sono qui attorno. D’un tratto si spegne la luce. Accendiamo una candela e attendiamo, ma la luce non torna. Usciamo,  io e i figli, a osservare e ad ascoltare: tutto intorno è buio; solo in lontananza, sui monti, si scorgono le luci accese, e accese sono anche, in cielo, le stelle. Tante stelle, e brillanti, quali poche volte ci è concesso di vedere, sia perché il vento ha reso limpidissima l’aria, sia perché l’oscurità le fa balzare tutte nitide alla vista. Ma, attorno, il profilo scuro delle case che si stagliano non molto lontano sul cielo, le piante, l’ambiente tutto scuro paiono riportarci indietro nel tempo, paiono riportarci a quando non esisteva il progresso di ora. Come allora, per un po’, l’imponenza del vento, la grandiosità della notte, delle stelle e della campagna nuda e spoglia e le forze della natura prendono il sopravvento e ci fanno sentire piccoli elementi  di essa, e non esseri violentemente sopraffattori come, spesso anche quando non vorremmo, tutta l’organizzazione del vivere moderno ci fa sentire di essere.

La luce non torna. Rientriamo in casa. I bambini, eccitati dalla situazione insolita, fanno chiasso nella penombra, ma presto la loro vivacità si smorza, sono costretti rinunciare a tutte le loro distrazioni abituali, a stringersi attorno alla debole luce della candela e stare assieme, tra loro e noi. Si trascura tutto ciò che non è essenziale, tutto ciò che è dispersivo, ci si trova, inaspettatamente, vicini  e raccolti.  Poi, presto, i piccoli vanno a letto. Resto solo in cucina e mi accorgo che il ripiombare d’un tratto a una condizione di vita di tanti anni fa mi costringe a pensare. La vita delle lunghe, oscure serate invernali al lume di una tenue candela o di un altro debole lucignolo, tutti stretti entro una breve stanza che proteggeva dall’assedio delle tenebre, dal rigore della stagione e dalla prepotenza del vento circostante costringeva al raccoglimento.

Anche ora, privo dell’occasione di disperdermi, perché non posso guardare lontano, sono costretto ad entrare in me, a far lavorare l’intelligenza, la memoria, la fantasia, ad ascoltare la linfa che sale dalle radici. Mi accorgo di dover ammettere che la luce violenta e diffusa che vince le  tenebre notturne, accanto a tutti i benefici che ci ha portato, ci ha rubato questa possibilità, questo favore che ci offrono le tenebre. Forse è per questo che vogliamo uscire sempre da noi stessi, che, insofferenti dell’ambiente, corriamo a cercare lontano, nelle evasioni, nei viaggi, quello che non sappiamo trovare dentro di noi, che siamo sempre scontenti, che ci affanniamo a cercare, a cercare, senza mai trovare.  Il tempo scorre e la luce ancora non  torna, ed io sono ancora qui, fasciato di silenzio e di penombra a pensare. Mi rivedo bambino attorno alla parca luce dell’unica lampadina accesa in casa, nell’unico ambiente riscaldato, e ritrovo che è quasi solamente attorno ad essa che rivivono i ricordi delle lunghe sere invernali. Poi mi rivedo fuori casa, nell’orto,  nel campo, tra le vie del paese, nelle strade di campagna, tra le siepi, tra i densi filari, e ancora ritrovo, accanto a quel senso di libertà e di pienezza che l’immergermi in questo spazio mi dava, un senso di raccoglimento, di protezione…

La luce non torna e io sono ancora a pensare osservando l’incerta fiamma della candela che il vento, che penetra tra gli interstizi della finestra, fa oscillare. Penso che è triste dover ammettere che, per raccogliermi e meditare un po’, ci sono volute delle violente folate di vento che mi hanno privato di una delle più importanti conquiste del progresso. Penso che tante cose il progresso ci ha dato, ma tante altre anche ci ha tolto. Penso che, in fondo, l’uomo di adesso non è saggio. Perché, se fosse saggio, saprebbe fare delle conquiste tecniche un uso più discreto, che gli facesse godere i benefici che esse portano senza perdere i valori di una vita semplice, parca, povera. Mentre mi accingo a prendere in mano la candela per andare a letto ringrazio il vento e capisco perché, nonostante tutto, sento di amarlo; perché è sempre quello di un tempo, perché è rimasto una delle poche forze che riesca a fare violenza alle nostre barriere eccessivamente ed egoisticamente chiuse e artificiose. E perché, questa sera, ha permesso, a me e ai miei, di ritrovare un raccoglimento che da tanto tempo avevo dimenticato”.

 

                                                                                                Gianni Giolo

 

UNA TERRA, UNA STORIA, UNA FEDE, Antologia di scritti di Terenzio Sartore, Accademia Olimpica, Vicenza – 2008, euro 15,00

 

Gianni Giolo