Gianni Giolo
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GIOVANNI MOLETTA

INTERVISTA A LUCIANO MARIGO

E’ stato presentato in Seminario dal rettore mons. Lucio Mozzo il libro di “Ricordo di don Giovanni Moletta” che porta il titolo “Un uomo libero alla ricerca della Verità”, un libro fortemente voluto dai suoi carissimi amici Italo Scuccato, Agostino Tessarollo con la collaborazione di Mario Balbo, Lino Cavedon, Tommaso Cevese e Mario Pavan. Il libro successivamente è stato presentato, per il territorio bassanese,  nella sala Martinovich del Centro giovanile, in un incontro aperto al pubblico,  ed anche nella casa anziani di Tezze. Nelle pagine del testo vengono raccolte testimonianze di amici, alunni e colleghi, preti e laici e di persone che lo hanno conosciuto, frequentato e stimato, come uomo, sacerdote, teologo, insegnante, biblista e filosofo. Commovente la lirica finale dell’amico Tomaso Cevese: “Addio Amico caro / dalla tua ultima passeggiata / non hai fatto più ritorno / cadenzando su passi incerti / cupi pensieri e tenebrosi / dissolti nella fredda solitudine / di una stazione di provincia. / Addio amico mio / resterai vivo nel cuore e nel ricordo / che si deve ai Maestri del passato”. Il libro contiene relazioni di don Giovanni sulla questione ecologica, sulla funzione del prete oggi, sul senso della vita, sul disagio mentale, sul matrimonio nell’annuncio cristiano, sulle radici del pensiero filosofico contemporaneo e sulla crisi dell’uomo nella nostra società. Su di lui ha scritto anche il noto scrittore Luciano Marigo (autore di “Due giorni con Chiara”, finalista del premio Campiello 1979, “La donna assurda”, “L’ultimo giorno”, “La stanza del cuore”) che ha assistito don Giovanni fino agli ultimi giorni di vita. Gli abbiamo fatto alcune domande.

Prof. Marigo, alla presentazione del libro su Don Giovanni c’erano moltissimi vicentini, che sono stati sconvolti dalla sua tragica morte avvenuta il 6 gennaio 2006, morte finita, come ha scritto Tomaso Cevese, “nella fredda solitudine di una stazione di provincia”. Lei, che gli è stato vicino  fino agli ultimi giorni, come giudica la sua vita?

La vita di Don Giovanni è divisa in due. Il taglio è così profondo che se mettiamo a confronto le due immagini, quella dell’intellettuale brillante e infaticabile e quella dell’uomo mortificato dalla depressione, solo con molto stento riusciamo a riconoscervi la medesima persona. Ho netta la percezione di quella frattura quando guardo la foto stampata a suo ricordo e distribuita in occasione del trigesimo, dove lo vedo ritratto nella luce della piena estate, mentre io l’ho conosciuto solo nel grigio dell’inverno. Davvero fatico a riconoscerlo in quel sorriso luminoso e fermo che non ha mai veduto brillare nel volto che ho conosciuto già segnato dalla tracce lasciatevi dalla tempesta che l’aveva sconvolto. E ancora più misuro la forza devastante della malattia osservando una vecchia foto che lo ritrae giovane chierico in riva al mare di Rimini e mi viene in mente l’ultimo ricordo che ho di lui, di tre giorni prima della morte, quando avendolo accompagnato, annebbiato e stordito dalla recrudescenza della malattia, dalla canonica di S. Marco al reparto neurologico del S. Bortolo in Vicenza, fui richiesto dal medico che l’aveva visitato di aiutarlo a rivestirsi. E confronto la vitalità aitante stampata in quella foto con la torpida pesantezza che, lì seduto sul lettino, gli impediva di abbottonarsi la camicia e non dico di annodare i legacci, ma anche solo di infilarsi le scarpe.

Una malattia devastante la sua che lo spinse verso la morte

“Fu uno schianto nel cavo dell’anima” dice il suo amico arciprete di Schio don Lodovico ricordando l’assalto fulmineo della malattia, “come se una vaso di cristallo si fosse spezzato dentro all’improvviso”. Per lui la malattia fu, come dice don Lodovico, il germogliare di “una visibile tenerezza verso il  Maestro” che è come dire un addentrarsi profondo nel mistero dell’amore di Dio. Don Giovanni stesso lo riconosceva quando, nei momenti in cui gli era concesso di vivere il suo martirio quotidiano con paziente e pacata padronanza, si confidava con persone amiche.

Quanti anni è durata la sua lotta contro la disperazione?

Ci sono stati periodi nei quali a quel combattimento ho assistito pressoché quotidianamente; e ne ho tratto la convinzione di aver assistito a uno spettacolo stupendo. E’ stata proprio l’ammirazione che quello spettacolo suscitava in me che mi ha dato la chiave per interpretare la sua morte. Non mi è stata suggerita da un sussulto di poesia l’idea dalla quale è scaturita la preghiera per la santa messa del trigesimo dove dicevo che il treno al quale don Giovanni è andato incontro è stato la sua croce e quella morte umiliante il coronamento della sua fedeltà. Quel combattimento, dal quale pure è sembrato sul punto di uscire vittorioso, a un certo momento ha registrato un pauroso crollo. Ripenso ai giorni che hanno preceduto e preparato l’epilogo del suo dramma, la sua via crucis solitaria e inconsolabile. Ho davanti agli occhi la sua figura diventata l’immagine di una sofferenza sorda e muta che non si lasciava raggiungere dalle povere parole con le quali chi andava a trovarlo tentava di offrirgli il conforto dell’amicizia.

In ogni caso ci soccorre, ci consola e anzi ci riempie di serenità ricordare l’espressione (non inventata da lui ma di uso comune) con la quale Don Giovanni amava affidare le nostre anime all’abbraccio paterno di Dio quando rivolgendosi a Lui nella preghiera liturgica Lo invocava col titolo “onnipotente nella misericordia”, che vuol dire “compassionevole senza limiti”.

 

Gianni Giolo

 

M.  BALBO L. CAVEDON T. CEVESE M. PAVAN, Un uomo libero alla ricerca della verità, Ricordo di Don Giovanni Moletta,  Grafiche Fantinato, senza prezzo

 

Gianni Giolo