Gianni Giolo
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MARIANO RUMOR

LA BIOGRAFIA DI CARRUBBA-PICCOLI.

IL VICENTINO SI OPPOSE AL COLPO DI STATO

 

 E’ stato presentato al Palazzo delle Opere Sociali, una grande sala piena di enormi vuoti, il libro “Mariano Rumor – Da Monte Berico a Palazzo Chigi” (Tassotti editore)  scritto da Orazio Carruba e Piero Piccoli. A presentare il volume oltre all’avv. Lorenzo Pellizzari, presidente della Fondazione Rumor, creata per iniziativa dell’Accademia Olimpica, il Procuratore generale del Veneto  Ennio Fortuna e il giornalista Pietro Vigorelli. Quest’ultimo ha fatto una specie di comizio berlusconiano attaccando  la figura di Moro e di Prodi, sostenendo la tesi alquanto dubbia di un Rumor decisionista leader dell’innovazione in opposizione a un Moro inetto e parolaio, leader della conservazione. Molto interessante invece l’intervento del giudice Fortuna che,  ha definito Rumor “un grandissimo democristiano e cattolico in un piccolo paese”, ma ha anche aggiunto che Rumor con i suoi 18 “non ricordo” al processo di Catanzaro del 16 settembre 1977 sulla strage di Piazza Fontana è uscito “col suo prestigio distrutto e assolto a metà”, perché “i giudici volevano costringerlo a  confessare qualcosa che lui non voleva dire” e che durante l’interrogatorio “ha voluto o dovuto tacere”. A tal proposito si riporta nel libro un bellissimo fatterello raccontato da Adriano Toniolo. “Ero a casa di Rumor, a Ponte Pusterla. Era sera e stavamo parlando da ore di tutto. Ma io avevo una spina in gola dal processo di Catanzaro e non vedevo l’ora di togliermela. Perciò a un certo punto presi la questione di petto. Lei, presidente, si ricorda anche quanti savoiardi ha mangiato il giorno della prima comunione. Ha una memoria eccezionale,  tutti i particolari possibili e immaginabili non le sfuggono. Non mi dica  che a Catanzaro ha detto tutta la verità quando ripeteva “non ricordo”. “E’ vero, ma non dovevo e non potevo ricordare, perché prima di tutto viene il partito e io ho sempre anteposto la DC alla mia persona”. “Il partito – ha aggiunto Toniolo – è fatto di parecchie persone. Lei stava proteggendo qualcuno”. “Certamente che ho protetto qualcuno – ha risposto Rumor – “Se ne potrebbe sapere il nome?” ha insistito il giornalista. “No vorresti troppo” – gli ha risposto il presidente. Il procuratore Fortuna ha ricordato inoltre che Rumor “non ha afferrato il senso delle bombe di Piazza Fontana”, una  strage  che  a tutt’oggi resta un mistero e nell’affare Lockheed, “una lurida storia di mazzette”,  era,  a suo avviso,  “personalmente innocente”, facendo capire che i soldi se li era messi in tasca qualcun altro del suo entourage,  e ha doverosamente citato la frase di Saragat sulla giustizia politica “se la politica entra per la porta la giustizia esce dalla finestra”, quella giustizia politica che ha visto nel 1977 Rumor assolto per un solo voto. Se Rumor oggi, come tutti i personaggi della  prima Repubblica, è caduto nel dimenticatoio è dovuto al fatto che lui fu “un grosso politico” che “ha fatto tutto il possibile” in un paese che era “marginale”.

Il libro di Carruba e Piccoli è il primo lavoro serio e documentato sul vicentino che è stato per cinque volte Presidente del consiglio e per cinque anni segretario della DC e, alla fine della vita, presidente mondiale dei democratici cristiani. Un lavoro che si beve tutti i precedenti libri che, al suo confronto, si possono definire amatoriali, compreso quello famoso di Gigi Ghiotti che non è nemmeno citato in bibliografia.  Le novità che questo libro si propone di dimostrare sono due: Mariano Rumor ha salvato l’Italia da una dittatura del tipo di  quella instauratasi in Grecia ed è stato un grande statista. Due tesi che restano però allo stato teorico e non vengono suffragate da prove documentali. La prima sostiene che “Rumor poteva benissimo cedere, nel 1969, dietro il fragore delle bombe e gli omicidi che stavano insanguinando il paese. In fondo lo volevano in molti. Dichiarare lo stato di emergenza sarebbe stata la sintesi logica della strategia della tensione, il risultato finale di un teorema che faceva comodo a tanti. Invece dirà di no e metterà in ballo coscientemente la propria vita”. Insomma il libro sostiene la tesi abbastanza singolare che Rumor è stato un grande politico perché non fatto un colpo di stato e non è stato un dittatore, non  è stato un Mussolini o un Pinochet,  perché aveva tutte le carte in regole per farlo. Nel 1969, al tempo delle bombe di Pizza Fontana, seguite da quella di Gianfranco Bertoli, “molti” volevano il colpo di stato e Rumor è stato un grande perché ha fatto la volontà dei “pochi” che non volevano il ritorno al fascismo. Una tesi strana per il semplice fatto che in quel periodo di caos e di turbolenze che trascinavano ogni giorno in piazza milioni di operai in sciopero la stragrande maggioranza del paese non voleva certo uno stato autoritario, ma uno stato più democratico e più vicino ai bisogni e alle esigenze del lavoratori. Rumor diventa,  come dice il libro, “l’uomo più potente d’Italia” quando viene nominato nel 1964 segretario partito.  E’ l’uomo giusto al posto giusto. Posto naturalmente ideale per lui che nel 1959 aveva fondato la corrente più potente del partito quella dorotea che gestirà il potere fino al 1974 quando Moro gli offrirà di nuovo la segreteria del partito e incontrerà l’opposizione acerrima e fermissima di Toni Bisaglia che voleva a quel posto il suo amico Piccoli. Allora Rumor capirà che la corrente che lui aveva creato gli si era rivoltata contro e che aveva nutrito nel suo seno una serpe velenosissima.  Scrive il libro: “tradotta dal politichese non si tratta di una semplice sconfessione, è la bocciatura del padre, ancora più impietosa, perché avviene davanti a tutti. Le cronache dicono di un Rumor che abbandonò la sala furente, uscendosene con una frase per lui insolita, che cambia di bocca in bocca, ma il cui succo non dev’essere stato molto diverso da qualcosa come “banda di mascalzoni”. Fra il braccio di ferro di Rumor e Piccoli prevale allora il buon Zaccagnini. In seguito Rumor, dopo aver parlato con l’amico Gianni Bisson, deciderà di uscire dalla corrente dorotea e sarà l’atto finale del suo suicidio politico perché resterà solo e abbandonato da tutti, fuorché da alcuni fedelissimi coe Lorenzo Pellizzari. Scrive il libro: “i tradimenti vecchi e nuovi fioccano e vengono vissuti malissimo. Tonino Corazzin, brillante e ambizioso sindaco di Vicenza, per il quale stravede, gli volta le spalle; Delio Giacometti di Arzignano, presidente della Provincia, che crede suo amico ed ha sempre sostenuto,  lo abbandona. E’ un fiume in piena che va controcorrente: da Rumor a Bisaglia. Presto il pio Mariano si accorge di non contare più niente. Ma non è finita, il peggio deve ancora venire: lo scandalo che arriva dall’America. Sarà il primo grosso colpo a quello che tutti credevano un monolite indistruttibile e che si rivelerà alla fine soltanto un colosso d’argilla: la Democrazia Cristiana”

 

 

\ Gianni Giolo

O. CARRUBA- P. PICCOLI, Mariano Rumor – da Monte Berico a Palazzo Chigi, Bassotti Editore, euro12,50

 

 

Gianni Giolo